ARGO, IL CANE DEGLI SCAVI DI POMPEI, SUL PONTE DELL’ARCOBALENO di Giuseppe Di Leva. E così se n’è andato pure Argo, l’ultimo cane di Pompei, l’ultimo custode silenzioso. Assorto in un sonno invincibile già da giorni, il cagnolone conosciuto da tutti quelli che lavorano o frequentano abitualmente l’antica città, si è poi addormentato per sempre, privando la città un tempo sacra a Venere del suo più silenzioso e fedele custode.
La scomparsa di Argo – compianta sui social come quella di un amico di tutti – è il cerchio che si chiude di una storia che è quasi vecchia come gli Scavi pompeiani ai tempi del turismo di massa. Eh sì, perché la vicenda dei cani che gironzolavano per strade e domus di Pompei è stata sempre croce dei soprintendenti e direttori degli Scavi, ma delizia di milioni di visitatori, fino a quegli ultimi che hanno accarezzato amorevolmente il manto invecchiato di Argo.
Argo e le denunce per il randagismo
A risolvere l’annosa questione, ci aveva provato già Baldo Conticello che, al principio degli anni novanta del secolo scorso, denunciava la difficoltà di affrontare in maniera risolutiva il problema del randagismo nell’area archeologica. “Contro i cani, invece, non posso far nulla. Si infilano sotto le reti metalliche perché la gente dà loro da mangiare. Io non li posso cacciare: se morsicano una guida finisco nei guai. Così ogni anno scrivo all’Usi, che non si fa mai vedere” (Settembre 1993). Stessa sorte toccò al suo successore Pier Giovanni Guzzo.
Il Progetto “(C)Ave Canem – Adotta Meleagro”
Si dovette aspettare solo l’epoca del Commissario Delegato per l’area archeologica di Napoli e Pompei Marcello Fiori quando, nel novembre del 2009, tra un contestatissimo restauro del Teatro Grande e il progetto di realtà virtuale nella domus di Giulio Polibio, spuntò dal cappello a cilindro “(C)Ave Canem – Adotta Meleagro”, il programma che avrebbe per sempre risolto il problema del randagismo negli Scavi pompeiani.
Di colpo i cani che scorrazzavano negli Scavi divenivano protagonisti di una campagna di sensibilizzazione finalizzata all’adozione, in modo da risolvere uno dei maggiori problemi di degrado presenti nell’area archeologica, almeno così ci si riprometteva. Fu lo stesso Fiori a volere il progetto in accordo con le associazioni animaliste come la Lav, Enpa e Lega Nazionale per la difesa del cane, in accordo anche col Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Così si espresse il Commissario nel giorno della presentazione del progetto, addirittura davanti al celebre mosaico del Cave Canem della casa del Poeta Tragico: “Una iniziativa di legalità e di civiltà. Il randagismo aveva dato una immagine pessima di Pompei, i cani non devono essere eliminati ma curati, non restare negli scavi per sempre. Il nostro obiettivo è infatti far trovare loro una famiglia”.
L’Anagrafe canina a Pompei prima di Argo
Ne seguì una vera e propria anagrafe dei cani che si contavano addirittura in quasi cinquanta esemplari. Si dotarono le bestiole di strumenti di riconoscimento quali microchip, collare, medaglietta ed affidati alle cure di volontari che potevano assisterli addirittura in cucce realizzate all’interno dell’area archeologica.
Il progetto, quindi, partì col vento in poppa, sostenuto fortemente dal governo nazionale. Lo stesso Fiori, già a febbraio 2010, annunciava una proroga del programma di altri tre mesi. Anche perché le cose, a dire del Commissario, stavano funzionando: ben 26 cani adottati su un totale di 55.
Così si esprimeva Fiori: “Al termine del progetto sono stati adottati 26 cani. Altri sono stati sottoposti a cure e terapie, senza le quali la loro sopravvivenza nel lungo periodo sarebbe stata seriamente a rischio”.
Il fallimento del progetto “(C)Ave Canem – Adotta Meleagro”
Ma, come sempre accade a Pompei – e non solo – la beffa era dietro l’angolo. Il progetto di Fiori, come l’affaire del restauro del Teatro Grande, finì qualche anno dopo nel fascicolo dell’inchiesta in cui il commissario delegato dall’allora ministro della cultura Bondi, risultò indagato per abuso d’ufficio. La spesa impegnata dal ministero per il progetto (C)Ave Canem fissata in 102.963,23 euro. A fronte di un’adozione di soli 26 cani, insomma, si era arrivati a spendere per ogni cane randagio la bellezza di 3.960 euro. Uno spreco autentico. Ma il dramma fu che il fenomeno del randagismo non venne di certo debellato, anzi. Si verificarono anche isolati casi di aggressione a custodi e turisti e la presenza delle famose cucce rimase, per un po’ di tempo, uno dei tanti piccoli ma vergognosi monumenti allo spreco di denaro pubblico.
Ettore, il primo cane-mascotte di Pompei
Ma i cani di Pompei non raccontano solo malintese storie di degrado ma anche episodi belli e divertenti da ricordare, come quello che vide coinvolto addirittura Roberto Benigni in un suo spettacolo al Teatro Grande. Protagonista assoluto, in un momento dello spettacolo del premio Oscar, fu Ettore quello che possiamo considerare il primo vero cane-mascotte di Pompei e antesignano dell’ora più celebre Argo.
Ettore, come Argo, era il vero custode silente degli Scavi, conosceva domus chiuse da tempo, stradine che i turisti ignoravano ma era anche un impertinente burlone tanto da rubare la scena al “Piccolo Diavolo”. Infatti, mentre Benigni si esibiva in uno dei suoi monologhi, Ettore irruppe sul palcoscenico tra lo stupore divertito delle centinaia di persone che assistevano allo spettacolo. Si mise a gironzolare sulle tavole del proscenio fino poi a sistemarsi, da spettatore non pagante, di fronte all’attore toscano seguendone l’esibizione con gran compostezza. Fu così esilarante la scena che Ettore di colpo divenne il “cane di Pompei”, tanto da non essere dato in adozione nemmeno nell’ambito del progetto di Fiori: ormai veniva considerato parte integrante degli Scavi.
Qualche anno dopo, Ettore – purtroppo – subì la vergogna del canile perché considerato un cane non sicuro da poter stare negli Scavi, e così poteva essere solo collocato in una struttura adeguata, prima di avviarlo alle richieste di adozione.
I cani di Pompei come “cani di quartiere”
Ettore, in sostanza, si ritrovò, suo malgrado e in senso negativo, ad essere uno di quegli esemplari oggetto di una delibera del 2014 dell’allora Commissario Prefettizio di Pompei che rispondeva ad una esplicita richiesta del ministro Franceschini deciso, anche lui, “a risolvere il problema dei randagi negli Scavi di Pompei”. Entravano, cioè, in campo i veterinari della ASL locale per eseguire un nuovo censimento, sterilizzazione e microchippatura dei cani presenti nel sito archeologico. Al termine di queste operazioni i cani – quelli non pericolosi per i turisti e non portatori di malattie – venivano dichiarati “cani di quartiere”.
A spronare il Commissario Aldo Aldi, tuttavia, fu soprattutto la mobilitazione delle associazioni animaliste appartenenti alla Federazione Associazioni Diritti Animali e Ambiente, timorose che all’interno degli Scavi si potesse scatenare una vera e propria “caccia ai cani”.
La “scomparsa” dei cani dagli Scavi di Pompei
Con l’arrivo dei cantieri del Grande Progetto Pompei, gradualmente e in maniera silenziosa, la presenza dei cani a Pompei si ridusse drasticamente soprattutto a seguito di adozioni anche di esemplari, davvero pochissimi, “problematici”. A Pompei rimanevano così solo i cani “a mosaico” o quello dipinto sulla faccia del bancone della famosa popina scavata pochi anni fa nella Regio V. E, appunto, Argo.
Argo e gli antichi pompeiani
Adesso che Argo è salito sul Ponte Arcobaleno la città antica rimane vuota, senz’anima, senza quegli occhi che avevano potuto vedere i fantasmi degli antichi pompeiani che all’alba si ritiravano nei loro sepolcri o nelle loro adorate case. Argo se li è portati con sé, per sempre, col suo dolce sguardo, lasciandoci senza la poesia che il suo felpato incedere dava alle strade di Pompei.
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