A CURA DELL’AVV. GUGLIELMO SCARLATO. I cattolici, quando esprimono i propri valori in politica, possono, allo stesso tempo, essere conservatori, moderati e progressisti. Non di rado questa sensibilità policroma innerva lo stesso credente e lo porta a non sposare radicalmente alcuna delle forze su cui si articola l’attuale paesaggio politico italiano . D’altronde la Chiesa di Cristo è conservatrice nella morale e questo La mette in contrasto con il lassismo proprio della società contemporanea. E’ moderata nei modi e nei toni, perché è aperta al dialogo e pronta alla comprensione, ma senza abiurare il rigore nei principi. E’ innovatrice e progressista, perché il proprio Magistero millenario Le impone di anticipare le grandi trasformazioni sociali persino con una visione profetica. Di questa capacità di fondere diverse sensibilità in un blocco unico e fecondo è stata interprete, sullo scacchiere politico italiano, la Democrazia cristiana. L’ arte del compromesso, la divisione in correnti, il consociativismo parlamentare furono figli di questa identità multipla e sfaccettata che rappresentò perfettamente il pluralismo della società italiana del dopoguerra. D’altra parte, la comunità nazionale caricò la Democrazia cristiana di fiducia così incrollabile da sentirsi profondamente tradita da ciò che emerse dalle aule giudiziarie durante la stagione di Tangentopoli. La Democrazia cristiana celebrò un crudele rito di autoannientamento e la diaspora dei cattolici in politica avviò un amaro percorso che non ha ancora avuto epilogo. I tentativi sviluppati in passato (per esempio, La Margherita nel centrosinistra e l’ Udc nel centrodestra) e quelli azzardati nel presente (per esempio, “Noi moderati” nel centrodestra e le iniziative che in questi giorni vedono impegnati Prodi, Gentiloni e Enrico Maria Ruffini) scontano un difetto comune: scelgono di stare da una parte sola del panorama politico, dimenticando che il cattolico rifiuta d’essere imprigionato in una categoria preconfenzionata che non riesce a contenerne l’universalità e l’eclettismo. La Democrazia cristiana (con un elettorato in prevalenza più conservatore dei propri dirigenti) era al centro della galassia politica e assorbiva non solo sfumate distinzioni, ma anche profonde differenze. Chi vorrà raccoglierne l’eredità, nel tentativo di rappresentare in politica la sensibilità dei credenti (ma anche dei non credenti che si riconoscono negli stessi valori di libertà), dovrà sfuggire alla trappola del bipolarismo in salsa italiana. In caso contrario, avrà scelto la soluzione forse oggi più realistica e produttiva, ma di certo estranea al profilo originale e, temo, irripetibile del partito cristiano che ha fatto nascere e prosperare la Repubblica italiana.