VENERE AD ERCOLANO di Giuseppe Di Leva. Dopo la pausa natalizia è ripresa l’attività dell’Associazione Internazionale Amici di Pompei. Anche per quest’anno, l’associazione propone un interessante ciclo di incontri arricchiti anche da presentazione di libri scientifici di argomento archeologico. Fondata da Amedeo Maiuri nel 1955 ha come principale compito istituzionale statutario quello di “promuovere la migliore conoscenza di Pompei, l’incremento degli studi e degli scavi pompeiani. Nonché la conservazione dei monumenti dell’antica città”.
Venere ad Ercolano, ora Amici di Pompei fa parte del Registro Unico Nazionale
L’Associazione recentemente ha aggiornato il proprio statuto che le ha consentito l’iscrizione da parte della Regione Campania nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore. E’ attualmente presieduta dal noto archeologo professor Antonio Varone. Da tempo è molto attiva anche livello editoriale pubblicando in particolare la celebre Rivista di Studi Pompeiani. La principale pubblicazione dell’Associazione, edita a cadenza annuale dall’Erma di Bretschneider, accoglie contributi dei maggiori studiosi di pompeianistica. Oltre a loro, anche quelli di giovani studiosi che si siano distinti nel campo degli studi. E che hanno ad oggetto la civiltà delle antiche comunità sorte in area vesuviana.
Mario Notomista e la ricerca sul Tempio di Venere
Proprio nel pomeriggio di venerdì scorso 19 gennaio, nella sala dell’ Auditorium degli Scavi, è ripresa, la serie di attività dell’Associazione. Il dottor Mario Notomista ha tenuto una interessante conferenza sul “Santuario di Venere ad Ercolano ed il fronte mare dell’antica città”.
L’archeologo gragnanese con Domenico Camardo è stato tra i più attivi e prolifici studiosi nella pubblicazione delle ricerche eseguite negli ultimi quindici anni ad Ercolano. Soprattutto nell’ambito dell’Herculaneum Conservation Project ha presentato al pubblico il suo studio, forse più centrale, nella pur ampia serie di pubblicazioni scientifiche prodotte. Ovvero, il Santuario ercolanese di Venere.
Infatti, il tema proposto ha costituito l’oggetto della tesi di specializzazione in Archeologia Classica discussa da Notomista presso la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università degli Studi di Salerno. Anche una sorta di punto di arrivo di un percorso di ricerche e studi. Iniziato fin da quando – negli anni quaranta del secolo scorso – ci fu la scoperta delle prime strutture del fronte a mare di Ercolano. Per poi essere uno dei punti nodali di intervento nell’ambito del più ampio Herculaneum Conservation Project. Lavoro eseguito di concerto con l’allora Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia.
Il Santuario di Venere dell’antica Ercolano
Il santuario dedicato al culto di Venere, costituito da due sacelli, sorge su una terrazza che si affaccia sull’antico, scuro litorale ercolanese. Fin dalle prime indagini avviate da Maiuri proprio all’inizio degli anni quaranta del Novecento ha sempre formato oggetto di continue interpretazioni. Mario Notomista ne ha egregiamente illustrato lo sviluppo diacronico.
Le scoperte epigrafiche, statuarie, le riletture iconografiche di questa area sacra, già utilizzata probabilmente a partire dal II secolo a.C., hanno permesso di sviluppare, ora, soprattutto una tesi del rapporto tra lo sviluppo architettonico dell’intero complesso sacrale. Oltre agli aspetti socio-culturali dell’antica Ercolano.
Lo sviluppo architettonico dell’area sacra del fronte mare. Il ruolo di Nonio Balbo
Inizialmente l’area – si può concretamente fissarne una prima frequentazione al II secolo a.C. – è occupata da due edifici. Sono realizzati su alto podio e provvisti di un pronao colonnato. Questa zona sacrale della città, forse dedicata al culto di Herentas Erycina come propose il Maiuri, si affaccia direttamente sul mare. E’ sostenuta da un imponente muro a scarpa in “opus incertum”. Insomma, ricalca il modello delle aree sacrali realizzate su terrazze in ambito laziale e campano.
Tra il I secolo a.C. ed il I d.C., è possibile assistere a una riorganizzazione del fronte a mare nel più ampio progetto di riqualificazione urbana della città. Ercolano ormai entrata pienamente nell’orbita di Roma.
Così la stessa terrazza, opportunamente ampliata, venne divisa in due aree separate. Una accoglieva il complesso sacrale e l’altra un ampio spazio che ospiterà poi il monumento funebre di Marco Nonio Balbo.
Proprio Balbo potrebbe essere stato l’evergete che avrebbe finanziato i lavori di riqualificazione architettonica e decorativa degli edifici dell’area sacra conferendole una più adeguata monumentalizzazione. Un intervento che – nel generale piano edilizio in città, avviato proprio per impulso di Balbo – doveva essere stato ispirato da motivazioni sia politiche che religiose.
Gli ultimi interventi nell’area templare
I frequenti episodi di bradisismo che caratterizzarono la città di Ercolano, in particolare proprio tra l’età augustea e il 79, provocarono una serie di danni proprio agli edifici dell’area sacra. Di questo dato storico ne è testimonianza una importante iscrizione rinvenuta in stato di crollo sulla spiaggia. Doveva appartenere alla rinnovata decorazione del pronao del Sacello B, eseguita qualche anno prima dell’eruzione vesuviana del 79.
Questa iscrizione, importante anche dal punto di vista della prosopografia ercolanese, informa che il sacello dedicato a Venere era stato restaurato da Vibidia Saturnina e Aulus Furius Saturninus. Forse madre e figlio (il parallelo con la dedica incisa sull’epistilio del portico antistante l’Edificio di Eumachia a Pompei, in cui compaiono lei ed il figlio Numistrio Frontone. In tal senso può essere un indizio in cui nella costruzione di un edificio in cui vi era uno spazio dedicato anche al culto imperiale – come poi suggerito anche per il santuario ercolanese – doveva essere evidente una sorta di manifesto programmatico di “imitatio imperii”). Ciò per rimediare forse ai danni arrecati dal degrado bradisismico, piuttosto – o non solo – per quelli relativi al grande terremoto del 62/63.
Questo intervento della “Signora di Ercolano” riguardò la realizzazione di un nuovo pronao, ancora più monumentale, ed il completo rifacimento dell’apparato decorativo della cella del sacello. Il dato interessante di questo intervento è l’impiego di marmi per la cui fornitura si è suggerita una intermediazione addirittura di funzionari imperiali.
L’area sacra vista dal mare
Ma come doveva apparire, nel suo periodo apicale, l’intera area sacra a chi giungeva ad Ercolano dal mare? Se ci fossimo trovati su un’imbarcazione pronta a raggiungere uno degli approdi ercolanesi, avremmo visto senz’altro uno spettacolo di straordinaria valenza programmatica. A sinistra il luogo in cui veniva praticato il culto di Venere, a destra lo spazio sacro – quasi un heroon – dedicato a Marco Nonio Balbo, effigiato in scultura come novello Marte. In sostanza veniva replicato il vestibolo monumentale della Casa di Augusto sul Palatino, il cui accesso era protetto proprio dalle statue di Venere genitrice e Marte disarmato: il messaggio ideologico della pax augustea.
Il culto di Venere “ercolanese” come adesione all’ideologia della pax augustea
Venere, quindi, protettrice dei naviganti, fautrice dell’amore, della fertilità, madre dello stesso popolo romano il cui culto, ad Ercolano, era praticato in un’area costituita non solo da edifici templari ma anche da verdi giardinetti in cui erano coltivate piante care alla dea. Oltre la terrazza sacra c’era il mare che, reso sicuro dalla pax augustea, ritornava ad essere lo spazio in cui riprendere il commercio del vino: fonte di ricchezza e prosperità delle città vesuviane, come lo era anche per la graziosa e “gentile” Ercolano.